Intervista al dott. A Paolo Morato
Medico di famiglia

Dott. Morato, secondo una ricerca del Censis del 2012 il 55,6% degli italiani, per ottenere informazioni di salute e sanità, si rivolge al proprio medico di famiglia. Questo conferma l’elemento di fiducia che lega l’assistito al proprio medico. Ma facciano il punto sul ruolo del medico di famiglia partendo dalle origini e dal modo di dire “medico condotto” poi divenuto “medico della mutua”.

R: La figura del medico di famiglia o di medicina generale esiste sin dal medioevo; era una figura tipica dell'età dei comuni, nata con principi di solidarietà per aiutare i malati e i bisognosi. Resiste nel '700, nel periodo del riformismo illuminato come politica della salute pubblica, con lo scopo di tutelare la vita dei sudditi e possiamo individuare nell' 800 il periodo in cui si sviluppa l'idea del medico condotto; il medico in "condotta", appunto, tutelava le fasce deboli della popolazione.
In provincia ancora oggi resiste l’idea del “medico condotto” mentre in città è genericamente più presente il concetto di medico di medicina generale o meglio di “medico di famiglia”.

Ma chi era il medico della mutua?

R: Il medico della mutua nasce nel 1924, in pieno 20ennio fascista con la creazione delle Casse Mutua, denominata poi nel 1934 Federazione nazionale casse mutua; il medico di famiglia era, quindi, un professionista che lavorava per conto della mutua. Dal dopoguerra, fino all'istituzione del Servizio Sanitario nazionale, nel 1978, si svilupparono le mutue legate al lavoro del cittadino (INAM, INPS, INAIL, INADEL, EMPED, ENPAS) e il medico, pertanto, apparteneva alle diverse mutue.
Solo con l'istituzione del SSN nasce il Medico di Medicina Generale, o meglio, il Medico di Famiglia, convenzionato con il SSN.

E’ evidente però che sia cambiato qualcosa. Cosa?

R.: Oggi il medico di famiglia deve individuare non solo la malattia del paziente ma anche affrontare il "problema" da un punto di vista sociale; è parte attiva del processo.
Non vi è più solo un rapporto duale medico-paziente ma il medico è inserito nel contesto sociale, con l'obiettivo di superare la cura per "prendersi cura" in modo globale del paziente.
In questo contesto "la medicina d'iniziativa", superando quella d’attesa, ha lo scopo di valutare e identificare i bisogni sanitari della popolazione attraverso interventi proattivi, riuscendo a intercettare specifici gruppi dipopolazione potenzialmente a rischio (si pensi ad esempio alla gestione integrata del diabete o al cambiamento degli stili di vita).

L’informatizzazione, l’apparato tecnico-scientifico, le linee guida, hanno modificato il rapporto privato tra cittadino e medico di fiducia?

Teniamo presente che oggi nel rapporto tra cittadino e medico è presente un terzo attore, la parte pubblica. E’ stato calcolato che le linee guida presenti in letteratura medica siano circa 855 e che i contatti che il medico ha con ogni paziente sono aumentati in 10 anni, dal 2004 al 2014, da una media del 3,7% al 9,6%.
Migliorare ed intensificare il rapporto con altri medici attraverso la medicina in associazione, in rete o di gruppo, è importantissimo perché permette di confrontarsi con altri professionisti e offrire un servizio migliore al cittadino. Il rapporto medico-paziente non è cambiato, è un rapporto di fiducia e in questo rapporto il medico lavora in scienza e coscienza, sicuro di sé; quello che patisce è la burocratizzazione, la necessità di "dipendere" dal funzionamento del proprio computer e gli innumerevoli rigidi protocolli nelle prescrizioni.
Per questo, ripeto, il confronto con tra i colleghi è fondamentale. E mi riferisco anche all'integrazione tra ospedale e territorio e ovviamente al rapporto tra specialisti ospedalieri e medici di medicina generale che deve essere basato sulla collaborazione, sulla comunicazione, nel senso di scambio capillare di informazioni, meglio anche per via telematica. Se i medici comunicano meglio e di più sono convinto che l'assistenza migliori a tutto vantaggio del paziente. Ciò detto, non dobbiamo dimenticare il ruolo primario che occupano le cure domiciliari, intese come l'insieme delle prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative e assistenziali che vengono svolte direttamente a casa dei pazienti che per particolari condizioni cliniche o situazioni di non autosufficienza, non sono in grado di recarsi presso l'ambulatorio del proprio medico. Rappresentano un ottimo investimento collettivo sulla salute dei cittadini che occorre sviluppare ed intensificare, ed una valida alternativa al modello basato sulla centralità dell'ospedale per la cura dei pazienti anziani, cronici e fragili in un contesto di invecchiamento della popolazione.

Nel percorso della Rete Oncologica il medico di famiglia svolge un ruolo fondamentale. Pensa che debba essere perfezionata la comunicazione con i mmg?

Credo che ormai i medici di famiglia sappiano che all’interno della propria Azienda Sanitaria sono presenti i Centri Accoglienza e Servizi (CAS) e i pazienti stessi possono trovare sul sito della Rete Oncologica una serie di informazioni su come affrontare l’eventuale nuova situazione. In ogni caso il CAS è il centro di riferimento per i Medici di Famiglia potendo inviare i pazienti con un sospetto fondato di patologia neoplastica. Ritengo allo stesso modo fondamentale potenziare lo scambio di informazioni tra CAS e Medici di famiglia ed è auspicabile un coinvolgimento diretto o indiretto dei MMG nei GIC, i Gruppi Interdisciplinari di Cura.